Eccoci qui…a contare le ore! Manca poco più di un giorno alla prima prova di italiano e non potevo certo non pensare a voi, cari studenti. Il testo che vi propongo è utile per il ripasso e per accendere in voi qualche buona idea da trattare nel caso in cui, tra le tracce di domani, esca quella su un triste anniversario: i 100 anni dalla Prima Guerra Mondiale.

Immaginiamo che vi venga sottoposta una traccia simile a questa: “1914-2014: dal primo conflitto mondiale è trascorso un Secolo. Ripercorrendo alcune delle fasi più importanti della Prima Guerra Mondiale e di quello che è stato il Ventesimo Secolo, rifletti sull’attuale situazione italiana ed esprimi il tuo punto di vista su come alcune situazioni economico-sociali stiano pericolosamente prendendo il posto di trincee, bombe a mano e fucili. Siamo realmente in pace o la guerra ha solo cambiato volto?“.

Cento anni fa iniziava il primo conflitto mondiale. Come accade per tutte le guerre, era nell’aria da tempo: alcuni poeti, artisti e scrittori avvertivano l’angoscia e la paura già dai primi del Novecento. Il male di vivere iniziava a farsi sentire, consumando la luce della speranza e volgendo pericolosamente verso i campi di battaglia. Testimone di questo sentimento che iniziava a farsi spazio tra i paesi europei e che, poco a poco, avrebbe preso corpo e voce grazie alla sensibilità degli artisti (che hanno sempre avuto ottime e sottili antenne per intercettare e descrivere gli avvenimenti futuri) è L’Urlo di Edvard Munch. L’opera, di fine Ottocento, rappresenta l’angoscia e il terrore. Lo stesso pittore descrive il momento dell’ispirazione parlando di “un grande urlo infinito che pervadeva la natura”. Quel grande urlo infinito, a distanza di pochi anni, avrebbe preso la forma di trincee e fucili, sarebbe diventato terrore reale, attraverso la morte di soldati e civili nel primo conflitto mondiale.

Il 28 luglio del 1914 la Grande Guerra iniziò, chiamata così perché diversa da tutte quelle che la precedettero. Vi presero parte potenze come Giappone e Stati Uniti e le armi utilizzate coinvolsero uno spiegamento di forze senza precedenti: aerei, carri armati e sottomarini. La forte crisi dei rapporti internazionali europei e l’ascesa della Germania a potenza navale furono tra i motivi più importanti dello scoppio della guerra. Come sappiamo, il pretesto fu trovato nell’omicidio di Francesco Ferdinando a Sarajevo da parte di un indipendentista slavo. Il sistema delle alleanze fu stabilito con chiarezza fin da subito: da una parte si schierarono l’Austria e la Germania, dall’altra l’Inghilterra, la Francia e la Russia, mobilitate in difesa della Serbia. Come spesso accade in caso di guerra, le aspettative non corrisposero alla realtà e l’intenzione tedesca di portare avanti una “guerra di movimento”, rapida e veloce, fallì: il conflitto si rivelò lungo ed estenuante, in quella che fu definita una “Guerra di Trincea”.

Il 24 maggio 1915 entrarono in guerra anche le truppe italiane.

L’offensiva austriaca divenne sempre più pressante, finché l’esercito italiano subì la famosa sconfitta di Caporetto, il 24 ottobre del 1917. Le ripercussioni sociali ed economiche furono gravi: ebbe inizio una serie di scioperi e di manifestazioni e il governo riuscì ad evitare defezioni e ammutinamenti solo con grandi promesse fatte ai soldati che si vedevano morire ogni giorno in una guerra di trincea lenta e logorante.

Nel 1918 il conflitto si concluse con la vittoria della Francia. Sul fronte italo-austriaco, l’esercito italiano era guidato dal generale Armando Diaz e riuscì a conquistare Trento e Trieste, stipulando un armistizio con l’Austria e giungendo finalmente alla pace. Come sappiamo, la Conferenza di Parigi penalizzò duramente i paesi perdenti, Germania in primis, facendo prevalere gli interessi delle due potenze europee Francia ed Inghilterra. All’Italia furono concessi i territori di Trentino, Alto Adige, Trieste ed Istria. Dallo smembramento dell’impero austro-ungarico nacquero quindi nuove realtà territoriali e politiche: l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia.

A cento anni da quel giorno, l’Italia non è in guerra, ma nel mondo sono presenti decine di conflitti che provocano quotidianamente migliaia di morti tra soldati e civili. Sudan, Turchia, Afghanistan, Pakistan, Mali, Nigeria, Congo, Siria, Libano, Asia Centrale, Kenya, Iraq e Ucraina sono solo alcuni dei paesi in guerra nel mondo. Di alcuni ne sentiamo spesso parlare, sono territori in cui gli interessi economici muovono le guerre. Di altri, invece, giornali e tv stentano a raccogliere informazioni, poichè la povertà e la devastazione si sommano a territori poco interessanti sotto il punto di vista delle materie prime. Le guerre civili hanno accompagnato il Ventesimo Secolo e le recenti questioni russe aprono la porta ad un Ventunesimo Secolo di guerriglia armata. Nel frattempo, centinaia di uomini, donne e bambini lasciano la loro terra per lidi migliori, dove avere una speranza di vita più concreta. E così attraversano i mari stipati in piccole barche, arrivando nelle isole italiane – Lampedusa è l’esempio più conosciuto – che non sanno più come gestire questa emergenza umanitaria.

A un secolo dalla Grande Guerra, l’Italia ha nuove battaglie da combattere: il nemico si chiama crisi economica. La disoccupazione che dal 2008 sta attanagliando l’Europa e in particolare i giovani, la paura del futuro e la mancanza di prospettive ricordano pericolosamente quel quadro di Munch di cui si parlava all’inizio del testo: un’angoscia che disorienta e fa perdere in un mare di emozioni contrastanti. La tutela dei diritti umani e l’istruzione, dal mio punto di vista, restano la condicio sine qua non per scrivere un futuro migliore. L’angoscia e le battaglie del Ventunesimo Secolo sono più eterogenee rispetto alla guerra di trincea del 1914, ma occupano una posizione trasversale rispetto alla vita di molti di noi, entrando nelle relazioni, nel modo in cui studiamo, lavoriamo, pensiamo al passato, al presente e al futuro.